Cicatrici: come attrici di vita vissuta
- Andrea Trofino
- 1 giu 2009
- Tempo di lettura: 1 min
Mi sono precipitato dalla rampa delle scale dimenticando di aprire il paracadute, mi sono schiantato al tappeto nel primo round di una giornata dove la pioggia cadeva anche più forte di me qui fuori, io là dentro mi cimentavo con l’intonaco e me ne confondevo cementandomene assieme. Pietrificato, come un sasso dinanzi alla paura di un fantasma dagli occhi vitrei, vedo scivolare un rivolo di sangue con un doppio delta lungo la dorsale che scende giù dal gomito, una curva o anche un’altura ubriaca, come ad alzarlo troppo, un fiumiciattolo rosso che scorre via come un cerbiatto(lo).
Mi piace pensare che le cicatrici siano segni lasciateci da Dio sulla pelle, segni di questa vita che percorriamo e se prendiamo le scale non è perché l’ascensore non funziona, ma perché per scalare le vette della vita a noi comuni mortali non bastano mica le vallette e tra l’altro ci si rompe sempre l’ascensore, o come lo chiamava un mio amico che amava bruciare ogni tappa nel suo costante salire, l’accensore. Un piromane metropolitano qualunque.
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