Sul filo
- Andrea Trofino
- 9 set 2008
- Tempo di lettura: 2 min
Il telefono squillava. A volte mentre si era appesi alla propria corrente ciondolante dei pensieri sembrava quasi urlare. Prendimi, prendimi e rispondi. La suoneria non era un caso, era un pezzo musicale che invitava a sollevare tutto il peso del mondo sulle proprie spalle, a volte una chiamata amica poteva davvero alleggerire il peso insostenibile di giornate lunghe come i capricci del tempo. Che bambino il tempo in quei giorni, piagnucolava cospargendo di lacrime le colline, altre volte sorrideva come il sole la mattina, s’intristiva con la nebbia e si lamentava con i tuoni.
– Pronto Jeremy? Pronto?
– Sì, sono pronto tesoro, lo sai che sono sempre pronto, qualcuno mi disse che fui nato pronto per sopportarti al telefono…
– Quanto sei scemo, volevo sentire solo la tua voce, lo sai che mi scalda, e mi riempie l’animo da questo vuoto occidentale…
– Mh. Magari un vuoto accidentale. Che vuoi farci, il mondo è qui, è proprio sulle nostre spalle. Alleggeriamo questa maledetta zavorra. Insieme.
Insieme. Una parola che vale per due, come il buco di una serratura che non può fare a meno di essere riempito dalla propria chiave. E ci si chiedeva se io fossi stato il lucchetto giusto e lei la persona che mi avrebbe sempre aperto per dare uno sguardo nuovo al cielo. Perché del mondo, in fondo, ne avevamo avuto più che abbastanza. Adesso volevamo volare. Volevamo varcare con quel tono sarcasticamente idiota la meta più difficile da superare. Volevamo varcare l’infinito stupore che si stava aprendo ai nostri occhi, occhi che adesso erano lontani, ma quando gli sguardi si sarebbero di nuovo incrociati non ci sarebbe stata altra strada da scegliere. Avremmo tirato dritto dentro ai nostri occhi per volere di Dio, e certo, per volere mio, nostro e dell’intera razza umana. Siamo uomo e donna. Insieme.
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