Rifugiati
- Andrea Trofino
- 19 apr 2009
- Tempo di lettura: 1 min
Adesso siamo di nuovo qui Jeremy. Mi vedi distesa su questo letto con gli occhi languidi e la mia mano con cui mi accarezzo piano tra le cosce. Ti guardo piccolo Jeremy, ti mando un bacio da qui aprendo la bocca e spostando la punta della lingua sul labbro superiore, socchiudo a malapena gli occhi, inarco la schiena e punto un po’ in alto i seni verso il soffitto. Ci sei Jeremy? Mi vedi? Alzo una gamba e inizio una strana danza che conosci benissimo, adesso sono la tua sinuosissima gatta. Vuoi coccolarmi? Mi giro piano… perché non vieni a prendermi? Jeremy… Jeremy… io, adesso sono tua. Puoi sentirti accolto dentro di me.
Le luci divennero soffuse, fuori il cadere della pioggia scrosciante come un leggero velo che si strofinava a terra. Da quella finestra rossastra le due ombre scure che si muovevano all’unisono, in sintonia con le onde del suono. Fuori erano tutte macerie.
Il mondo ci era crollato addosso. La crisi, i cataclismi, le guerre. Eravamo i nuovi Adamo ed Eva.
E stavamo per dar vita ad un nuovo Dio che avrebbe pianificato una nuova Era.
Jeremy, adesso, entrami dentro.
Shmuel non piangeva più. Guardava il pavimento, come cercando di convincere la sua anima a non vivere più nel suo corpicino, ma a scivolare via e volare attraverso la porta fino in cielo, veleggiando fra le nuvole fino a sparire lontano, e non tornare mai più in quel mondo.
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