Inatteso
- Andrea Trofino
- 11 set 2008
- Tempo di lettura: 2 min
Jeremy lo sai che non dovevamo cacciarci in quella situazione di merda. Dove ce ne andremo adesso, vedo le foglie calpestate dai tacchi a spillo di quella donna di malaffare che col gonnellino spiegazzato osava anche giocare in borsa infilandoci dita, mani ed altro. In quel suo maledetto portagioie e dolori dove nello specchietto si rifleteva tutta l’assurda malinconia che ci ha portato ad essere qui, soli, nell’immenso universo dove crediamo ancora di vivere. Ma dove viviamo, dove stiamo vivendo? Renditi conto, e dico conto per non dire calcolo, dobbiamo enumerare tutte le enormi sfide a cui quella donna ci ha sottoposto Jeremy. Domani andremo al mare, sfideremo le onde, fionderemo palline di caucciu’ ai gabbiani, colpiremo il sole con la nostra pelle riflessa, ci riempiremo di sabbia e rancore. Dobbiamo andar via. Questo non è il nostro vero territorio, dobbiamo combattere contro le tempeste, contro le finte feste, contro l’atmosfera che ci soffoca e l’acqua che ci fa annaspare in un fetido buco nero di bollicine avvelenate. Dobbiamo lottare contro quella donna. La nostra Madre Natura è impazzita Jeremy, noi non ne facciamo parte, dobbiamo abbatterla.
Partirono i battelli oltre le coste d’avorio e quelle di smeraldo, oltre il lontano lido che andava al di là di ogni orizzonte.
La casa era lì vicino al faro. Un faro spento da anni, ti ricordi quando giocavamo intorno a quel faro? Ricordi, ricordi quando ci tenevamo per mano contando i nostri passi sulla sabbia?
Ogni chicco di sabbia era il nostro Dio. Adesso, cosa ci resta?
Il canto del gabbiano morì come le sue ali, cadde lì in quel punto del mare, un altro buco nell’acqua. Le città di notte si erano spente tutte era giunta l’ora di evadere e vedere altre forme di vita simile alla nostra. Forse lassu’ in alto, vicino ad una stella lontana, sì, vicina e lontana. Mai erano state così a corta distanza tra loro.
Era la fine del mondo Jeremy.
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