Alla corte dell’ombra
- Andrea Trofino
- 18 ott 2008
- Tempo di lettura: 1 min
Siamo giunti alla corte dell’ombra signora mia della luce, oltre quel buio che si riflette sul nostro terreno c’è il trono dove potrà sedersi e accomodarsi mio prediletto splendore, si accenda di tutte le sue grazie, lei conosce mia luce che una volta uccisa l’ombra che ci ammanta riusciremo a squarciare i cieli annebbiati e a sorvolare i monti che ci hanno tenuti separati durante questi lunghi anni, potremo di nuovo camminare a piedi nudi lungo i deserti infiniti che ci scaldano e ci rincuorano, apriamoci il varco lungo questo orizzonte.
Erano le sette e trenta del mattino quando mi risvegliai, un raggio di sole già filtrava attraverso la finestra uccidendo piano le ombre della notte. I miei occhi che racchiudevano ancora i sogni si aprirono lentamente e con le mani intorpidite mi toccai la fronte gelata di sudore. Gelata di sudore. Strano che il sudore possa gelare ma quando le stelle alle tre dopo mezzanotte ti giocano brutti scherzi la mente confonde da ciò che è incubo a ciò che non lo è. Davvero una ragazza dai capelli lunghi, lisci e neri avrebbe tolto il cuore dal mio petto e la luce dai miei occhi? Sarà per questo che adesso anch’io preferisco le bionde, ma devono conservare i loro occhi neri perché al di sotto delle loro frange dorate ci si possa perdere all’infinito come in un immenso buco nero.
Ecco la signora della luce. Accendimi dove il cuore ha smesso di battere, dove gli occhi hanno smesso di vedere, dove i rivoli delle lacrime si sono fermate, falle scorrere di nuovo perché è tra quei fiumi che voglio di nuovo piangere.
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