II.
- Andrea Trofino
- 10 set 2016
- Tempo di lettura: 2 min
Quando mi fai arrabbiare mi viene voglia di fare l’amore. Ma a che punto ci eravamo fermati? Perché non ho continuato a scriverti? In questa estate maledetta ho solo provato la gioa di vedere nelle tue parole la salsedine del mare, la brezza del tuo respiro che mi soffiava via, la lunghezza ondulata come le onde delle tue gambe distese sulla spiaggia, i granelli di quella sabbia che ti ricoprivano come minuscoli smeraldi a far risplendere la superficie del tuo corpo che a malapena sfiorai mesi fa in un inverno misterioso dove tutte le coincidenze confluivano verso il tuo ventre ricolmo di vuoto che volli riempire. Prima con le mie parole poi con la mia presenza e ancora dopo con i pensieri. Ho colmato quel vuoto? Ti ho letta dentro così come tu fai con i tuoi libri? Sto perdendo la pazienza, la ritroverò indossata da te come l’attesa di un’amata vestita di bianco da sposa ma rossa in viso e fulgida nella lingua che bramo voler intrecciare di nuovo con la mia.
Le incomprensioni sono così strane. È forse per questo che hai scritto che ti appaio strano dopo che sono scomparso per così tanto tempo. È stato un non comprendersi più a vicenda. Quando si diventa invisibili penso alla forma del tuo fantasma che si insinua nei meandri della mia casa come se fosse infestata del tuo sangue ribollente che scorre. Ma non hai mai creduto che l’invisibilità è un super potere che mi nasconde dal dolore, che mi rende eroe sulle tue palpebre che sbattono senza più riuscirmi a vedere. Occhioni immensi. Occhi in cui svanire come se fossero buchi neri che conducono ad altre dimensioni.
Non so perchè le persone siano così entusiaste di rendere pubblici i dettagli della loro vita privata, dimenticano che l’invisibilità è un superpotere. Io me ne dimentico spessissimo.
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