I.
- Andrea Trofino
- 20 giu 2010
- Tempo di lettura: 2 min
Iniziano a suonare le campane della tua ora. Ti sei appena svegliato e senti un leggero tintinnare nelle orecchie, il letto che dondola leggermente, la tua mente che divaga da un sogno alla realtà e viceversa. Le campane suonano con un eco che si allontana verso il cielo oltre le colline, rimbombando nelle tue orecchie. Ti alzi pelle e ossa, sangue e carne, occhi e cervello verso la doccia, rigorosamente fredda di un’estate folle, dove per via dell’eruzione di un vulcano potrebbe addirittura nevicare a ferragosto. Ma la doccia sarà rigorosamente fredda perché ti senti terribilmente caldo. Hai quelli che si chiamano i bollenti spiriti. E’ vero hai le mani fredde, ma è il cuore che devi raffreddare, quello è caldo. Stai bruciando dentro forse proprio come la tua vita sta bruciando al tuo esterno. Dopo la gioventù, la vecchiaia bruciata. Guardati allo specchio: vedi te o vedi qualcun altro oggi? Di chi sono realmente quegli occhi e quello sguardo distaccato e spento? Non hai acceso lo sguardo questa mattina. Potevi bruciarti un po’ il viso anche. Sei tutto acceso come un fuoco che brucia se stesso e l’ossigeno che lo tiene in vita e così ti spegnerai lentamente. Ma il tuo sguardo è quello spento di sempre. Ci vorrebbe un barlume, un’idea, tu penserai, forse dell’amore, per riaccendere quello sguardo spento. Un po’ di barba sfatta, provi a raderti a brucia pelo. Già, proprio a brucia pelo, perché forse non sai che gli antichi romani usavano farsi la barba bruciandosela con dei carboni accesi quando avevano più fretta, e non avevano paura di scottarsi. Tu ne hai una tremenda vero? Hai una paura tremenda di amare di nuovo. Di scottarti con qualcuno che sia diverso, da lei, da te, da quell’altra ancora che hai posto su un piedistallo di ghiaccio. La regina del ghiaccio. Sì, me la ricordo, la Signora delle Nevi, quella di quel tuo sogno ricorrente. Era quella donna che si presentava a te, mora, con occhi profondi e intensi, nerissimi e tutt’intorno c’era neve bianchissima e che cadeva dal cielo. Quella donna era il tuo buco nero signor A. un buco dove volevi venire risucchiato, come un bambino che vuole tornare nel suo grembo materno. Una sorta di morte al contrario. E’ la solita storia che ci portiamo dietro da secoli. Si entra, si esce, si ama, si odia, ci si accontenta. E soprattutto d’estate, anche senza sole, ci si può scottare facilmente. Anche di se stessi. Prova a guardare più intensamente gli altri, ti accorgerai ad un certo punto che spesso è esattamente come guardarsi in uno specchio e se vi riflettiamo luce, bruciamo. E non sempre è detto che sia l’inferno. Intanto, questa stagione è fredda, freddissima.

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