Morti subliminali
- Andrea Trofino
- 27 lug 2010
- Tempo di lettura: 2 min
E’ ancora vivo. Il suo polso batteva caldo sull’asfalto deserto di quella strada sterrata la mattina del 19 marzo 1996. Lo avevano trovato lì stravolto e sconvolto affianco ad un auto ancora accesa di colore arancione che rifletteva il giallo del sole e l’azzurrino del mare riflesso lontano. Il sangue dell’uomo era ancora caldo e i suoi occhi seppur aperti fissano il vuoto verso terra.
Non poteva di certo continuare a lamentarsi. Ormai lo strazio era divenuto delirante per poter continuare a permettersi di straziarsi e dunque in quella che era una morte apparente dell’uomo bisognava cercare una nuova vita che non fosse più mirata alla sua stessa distruzione. Il sole nero era caldissimo. Il motore di quella macchina che continuava a scoppiettare, una polvere rarefatta che ingialliva il cielo intero.
Per troppo a lungo aveva cercato la verità e alla fine non trovando era impazzito. Entrò nella sua auto, accese la radio e decise di partire per l’ignoto, esattamente per ciò a cui voleva a tutti i costi dare una risposta, decise di volerlo affrontare dal vivo. Ma alla fine non resse. Così come la verità che cercava anche l’ignoto era intangibile e inconoscibile. Si lasciò andare alla deriva in quell’immenso deserto di catrame e polvere correndo con i giri del motore al massimo.
Nubi lievi e grige salivano verso il sole nero. Venivano sputate direttamente dal tubo di scappamento.
Ad un tratto ebbe un colpo mentre i suoi occhi fissavano impietriti e ardenti come quelli di un demone il tragitto davanti a sé. Era solo. Era sempre stato solo. Ora ne era conscio come non lo era mai stato in vita sua. Un colpo, una fitta al cuore. Era rimasto solo per la sua ostinata invadenza nel credere che ci fosse un perché lungo quel suo tragitto. Quella strada stessa era stata la sua stessa vita. Una fitta e di colpo si aprì lo sportello dell’auto da dove ne scivolò fuori ad una velocità spaventosa e ad una stessa velocità si bloccò e si accasciò al suolo di colpo con gli occhi ancora aperti e fissi.
L’asfalto che brucia. I vestiti strappati. Il sole nero.
Una mano si avvicinò verso di lui. Una mano candida gli accarezzò la fronte ricoperta di sudore e piano scivolò sulle palpebre. La luce del sole nero scomparì all’improvviso. La stanza fu buia come quella della sua camera dove non accendeva mai la luce per paura di essere visto mentre cercava la verità. Nessuno doveva vederlo.
Fu buio e le stelle iniziarono a brillare. Adesso aveva l’occasione di conoscere quella mano candida che non aveva mai incontrato quando era ancora in vita. Era stato il contatto con quello che aveva sempre cercato disperatamente. Il tocco freddo e caldo di qualcosa d’umano.
Non sapremo mai di chi fosse quella mano ma da quel giorno l’uomo si seppe rialzare dalla sua stessa morte smettendo di chiedersi il perché della propria vita e delle proprie sconfitte.
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