Memorie: scena finale, “A un passo dall’abisso”
- Andrea Trofino
- 24 giu 2011
- Tempo di lettura: 2 min
Entra in scena. Prende una lattina di Coca Cola. La apre. Beve un sorso. La poggia sul tavolo. Si sfila la giacca. L’appende alla sedia. Estrae la pistola. La poggia sul tavolo. Poi, prende un diario e una penna. Si siede. Beve un sorso di Coca. Scrive sul diario.
Ad un certo punto legge ciò che scrive:
I giorni sono tutti uguali. Tutti uguali. Tutti in fila come inutili soldatini.
Smette di scrivere. Pausa riflessiva. Dice:
Devo fare qualcosa per cambiare questo schifo.
Allora guarda la pistola. La prende. L’accarezza con cura. Estrae dalla tasca un fazzoletto. La pulisce. Si alza continuando a pulire la pistola. Verifica che sia piuttosto lucida. Ripone in tasca il fazzoletto. Poi, punta la pistola contro lo specchio. Contro il bastardo magnaccia che andrà ad uccidere. Dice:
Eravamo nella casa di campagna di mio zio. Ero poco più che bambino… Lui ne aveva appena sgozzato uno, proprio davanti ai mie occhi…
il sangue colava sul pavimento e quello sbatteva le zampe avanti e indietro, avanti e indietro…
tum, tum, tum, tum…
Poi, di colpo, ha sbarrato gli occhi. S’è messo a tremare. Le zampe si sono irrigidite.
Mi guardava negli occhi come a dire: Perché mi fate questo?
Perché mi fate questo.
A questo punto, fa una pausa di riflessione. Abbassa l’arma. La rinfodera dietro la schiena. Va verso il tavolo. Dietro la sedia. Si infila la giacca. Mette a posto la sedia. Prende il diario. Lo ripone. Prende la lattina fa un sorso. La poggia sul buffet. Prende una pillola. Fa un sorso.
Poi dice:
Non c’è nessuna differenza tra un uomo e un coniglio, fottono e crepano allo stesso modo.
Fottono e crepano allo stesso modo.
Esce di scena.
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