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  • Immagine del redattore: Andrea Trofino
    Andrea Trofino
  • 16 ott 2016
  • Tempo di lettura: 2 min
Tocco la tua bocca, con un dito tocco il bordo della tua bocca, comincio a disegnarla come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si aprisse, e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, faccio nascere ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano ha scelto e ti disegna sulla faccia, una bocca scelta tra tutte, con la sovrana libertà che scelgo per disegnarla con la mia mano sulla tua faccia, e che, per un azzardo che non cerco di comprendere, coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano ti sta disegnando. Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino e allora giochiamo a fare il ciclope, ci guardiamo tanto da vicino che i nostri occhi si allargano, si attaccano tra di loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirano confusi, le bocche s’incontrano e lottano nel tepore, si mordono con le labbra, appoggiano appena la lingua tra i denti, giocano nei loro recinti là dove un’aria pesante va e viene col suo profumo antico e il suo silenzio. Allora le mie mani cercano di immergersi nei tuoi capelli, di accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre noi ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranze oscure. E se ci addentiamo, il dolore è dolce, e se affoghiamo in un breve e terribile assorbirsi dell’alito, quell’istantanea morte è bella. E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare su di me come una luna nell’acqua.
 
 
 

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