Ti ho vista al parco.
- Andrea Trofino
- 10 lug 2016
- Tempo di lettura: 2 min
Ti ho avvistata aggirarti nel parco, mi sei sembrata subito tu, con il mio sguardo ho riconosciuto subito il profilo della tua ombra che si staglia dalle foglie degli alberi d’estate, quella luce luminosa che come un raggio fa trapelare la sicurezza della tua pelle anche nel caldo più pericoloso. Da un raggio di luce che trapela da una crepa si scoprono milioni di mondi e dentro quella crepa c’è l’occhio vivo di un universo attento ad ogni particolare che ti tocca. Ogni particolare che io vorrei toccare ma sei sbiadita sempre come un sogno, sei un fantasma di zucchero che vola nella stanza, sei zucchero filato rosa e azzurro, zucchero che si scioglie al calore di ogni mio bacio e scompare. Ti vorrei più dura, forte e presente, ti vorrei di acciaio che si accende al fuoco di questo caldo, vorrei che anche tu bruciassi per me. Accenditi come farebbe una stella se incontrasse un’altra stella. La mia stanchezza è disarmante, non ho più colpi da usare, ogni strategia fallisce quando due persone finiscono per conoscersi. Finire. Forse questo verbo è il punto principale della nostra questione. Abbiamo finito di conoscerci e adesso non ci cerchiamo neanche più ma allo stesso tempo non ci siamo mai conosciuti. Come sconosciuti ci incontrammo e come sconosciuti ci stiamo abbandonando. Abbiamo dimenticato che là fuori c’era abbondanza di ogni mezzo per vederci ed incontrarci, qualcuno di noi due non ha più voluto proseguire il percorso stabilito ed ha preferito deviare lungo la linea sottile della trama che ci ha condotti insieme fin qui. Inizia a comparire troppo spesso la parola fine, lo hai notato? E non fai niente, non fai niente per porre fine alla fine. Ci stiamo sfinendo lungo la dorsale della schiena del mondo, oltre l’orizzonte che si staglia, allo Zenit dove lo zero più lo zero non creano più un infinito costante. Cosa siamo noi due se non stiamo? Se non sostiamo un solo istante insieme?
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