Sabotaggio
- Andrea Trofino
- 15 dic 2010
- Tempo di lettura: 2 min
Lo faccio di sabato e rimane il mio sport preferito: il sabotaggio. E’ un incrocio tra la febbre del sabato sera e il canottaggio, si effettua all’aria aperta e mi chiedo sempre chi la lasci aperta, come l’acqua, già che c’è la crisi e le tasse sono sempre più salate mentre sempre di meno lo è l’acqua dove butto la pasta poiché appunto il sale costa, ma anche le crociere Costa. Questo sabotaggio si effettua disinnescando il cervello dalla realtà slegandolo e lasciandolo libero di correre per i prati e i campi del più semplice illusionismo ottico. La fuga dei cervelletti. Hai testa? No, scomparsa, è venuta croce e ci ha detto di optare per l’altra faccia della medaglia. E’ così che saltano in aria le idee e provocano ustionati di terzo e quarto grado. Di solito sono i bruciori agli occhi dopo una notte passata a pascolare il proprio cervello per le valli dei sogni ad occhi aperti. Di larghe e strette vedute, pupille che si dilatano e si restringono, cogliere tutto con un’occhiata e riseminare il tutto al di sotto delle proprie vedute, far tracimare i fiumi creati dalle proprie lacrime, inondare il mare già pieno di altre onde, rimandare e riordinare i pensieri scomposti. Mascalzoni. Se ne vanno in giro nudi tra un’idea e l’altra, esigono la massima libertà di espressione, respingendo quella di repressione. Così si disattivano le mine anti-uomo, le o-mine. Disattivando le o-mine troviamo le donnine. Il punto è che tutto finisce in un grande scoppio. Sempre. Ogni qualvolta effettuiamo un sabotaggio il sabato sera va sempre a finire di sembrare degli scoppiati. Ma ormai è normale amministrazione per la nazione intera. Chi mai ci farà caso, e soprattutto chi mai ci farà casa, direbbe il senzatetto e il terremotato. Chi ci fa da casa? Forse nessuno ci fa caso.



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