Pescatori di brodo primordiale
- Andrea Trofino
- 17 apr 2012
- Tempo di lettura: 2 min
E’ quando inizi a muoverti che senti le catene. Fin quando sei rimasto fermo e legato senza possibilità di scuoterti non sentivi nulla che ti stringesse i polsi, non sentivi più il dolore di quei legacci che ti tenevano fermo. Adesso forse non senti più neanche il dolore dei legami che ti hanno bloccato lungo tutta la vita in stazioni intermedie a contare i treni dove viaggiavano gli altri. I legami feriscono quando si sciolgono, come catene che preferivi tenerti piuttosto che liberartene. Certe sbarre non sono mai sicure. Certe gabbie non ti offrono mai un vero rifugio. Certi secondini preferiscono vederti morire lentamente piuttosto che aiutarti. Adesso che mi muovo lentamente da solo, come se stessi risalendo a galla nell’acqua di un oceano dopo una lunghissima immersione, riaffioro sulla superficie, riaffioro come i ricordi ma questa volta riaffiora me stesso piuttosto che il ricordo del passato che preferisco tenere sepolto nei fondali e mentre imparo a nuotare volgere lo sguardo di nuovo verso l’orizzonte, il sole e la nuova luce che mi si porge davanti, come se fosse lì apposta per essere presa con la mia tenaglia dell’oscurità riposta anch’essa nello zaino degli attrezzi dell’anima.
Affogare ci lascia senza respiro. L’ho imparato a fare spesso. Soffocare e poi ricominciare a respirare, è uno dei nuovi sport di questi ultimi anni. Lasciarsi senza fiato e tornare a respirare. Quanto inutile affanno. Eppure non c’è scampo, che lo vogliamo o meno, siamo tutti affannati dalla vita e la vita ci affanna. A volte ci infanga fino a ricoprirci e torniamo a soffocare.
S’impara tardi a vivere. S’impara tardi a far meno degli altri e quando impari a far meno degli altri probabilmente sono gli altri che non possono più fare a meno di te. Di un nuovo legame. un patto di sangue col destino. Sono in attesa. Resto qui ancora un po’ tra le salme ritrovate sul bagnasciuga della spiaggia ad attendere un nuovo patto col Diavolo, il mio destino all’inferno, o per altri al paradiso, poiché non vi è nessuna differenza. E’ questo che ho imparato.
Sto abboccando all’amo. A quell’amo che prima o poi sentirò di nuovo pronunciare dalla mia bocca o ancora meglio da quella di un altra persona.
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