Non sono pessimista, sono solo realista
- Andrea Trofino
- 23 feb 2014
- Tempo di lettura: 2 min
Alcuni antropologi pensano che la religione sia un virus del linguaggio che riscrive percorsi nel cervello offuscando il pensiero razionale. Vedete, abbiamo tutti quella che io chiamo la “trappola della vita”. Questo gene profondo che ci dà la certezza che le cose andranno in maniera diversa: che ti trasferirai in un’altra città e incontrerai le persone che saranno i tuoi migliori amici per il resto della tua vita, che ti innamorerai e sarai appagato. Questo fottuto appagamento e senso di completezza. Che si fottano questi due vasi vuoti a cui aggrapparsi in questo mare di merda. La verità è che nessuno è mai appagato fino all’ultimo istante finale. Niente è mai completo, niente davvero finisce. La fallacia ontologica di aspettarsi una luce in fondo al tunnel, ecco la merce dei predicatori, la stessa di uno strizzacervelli. Vedete, ci sono persone che incoraggiano la capacità di illudersi e poi ci dice che è una virtù. C’è sempre da guadagnarci a fare in questo modo che ti dà un disperato senso di importanza: “Di sicuro tutto questo è per me!”, “Per me!”, “Me, me, me, io, io, io!”, “Io sono davvero importante, cazzo!” L’uomo. Ho visto la conclusione di migliaia di vite. Giovani, vecchi. Ognuno è talmente certo del proprio essere reale, del fatto che la propria esperienza sensoriale abbia costituito un individuo unico dotato di scopo e significato. Siamo così sicuri di essere qualcosa di più di una semplice marionetta biologica che poi quando invece conosciamo la verità e tutti si accorgono e si rendono conto che una volta tagliati i fili non possiamo far altro che cadere. Questo è ciò che so sul tempo, sulla morte e la futilità. Ci sono idee più ampie a riguardo e soprattutto ciò che ci spetta da fare in quanto società per le nostre reciproche illusioni. Guardi nei loro occhi, anche in una foto, non importa se siano persone ancora vive, puoi comunque leggerli e sai cosa vedi? Loro l’hanno accolta, non subito ma, lì nell’ultimo istante, in un sollievo inconfondibile anche perché spaventate, hanno visto per la prima volta quanto in realtà fosse semplice lasciarsi andare ed hanno visto in quell’ultimo nano-secondo, hanno visto cose che erano state e tu, proprio tu in questo grande dramma non sei mai stato altro che un coacervo raffazzonato di presunzione e stupida volontà e allora non puoi fare altro che semplicemente lasciarti andare e finalmente non devi più aggrapparti così forte per renderti conto che tutta la tua vita, il tuo amore, il tuo odio, i tuoi ricordi il tuo dolore erano la stessa cosa. Erano tutto lo stesso sogno, un sogno che hai avuto dentro una stanza chiusa. Un sogno sull’essere una persona. E come in tanti sogni c’è un mostro alla fine di esso.
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