Non può essere la fine
- Andrea Trofino
- 24 giu 2016
- Tempo di lettura: 2 min
Ci siamo rivisti? Eppure mi sono accorto che i nostri corpi erano entrambi assenti. Non c’erano bocche, non c’erano labbra, non c’erano gambe. Almeno per attimi discreti che non ti saprei spiegare. Non c’erano neanche i tuoi occhi se non a tratti come il tuo trucco. Ci siamo incontrati come fantasmi alla stazione che poteva dividerci per sempre come due perfetti sconosciuti. Ma solo qualche giorno prima rileggendoti (non le tue parole, ma le cose che smuovi nel mondo battendo le tue ciglia) ho avuto la solita impressione di un qualunque innamorato di conoscerti da sempre, da prima che nascessi io e da prima che nascessi tu. Ma rimani un mistero ed un enigma e come in tutti i puzzle sto risalendo a fatica (ma ti confido di farcela) alla soluzione finale che non potrà mai più separarci. La soluzione fa parte di quel conoscersi così perfettamente in sincronia da non avere mai bisogno di chiedere una spiegazione per qualunque parola detta (le parole non dette non hanno bisogno di spiegazioni). Hai le gambe tornite. Le ginocchia come cuscini di seta su cui vorrei poggiare la mia bocca per farla riposare. Hai il seno che si intravede timidamente dalla camicetta come un fiore nascosto nell’erba che vuole spuntare. Ci siamo io te. Tu mi mi dici di no, no, no. Non c’è nessuna possibilità questa volta ma capisco che è tutta colpa mia: sono arrabbiato, arrabbiato ma non con te ma con il mondo e riverso questa rabbia su di te e mi sento tremendamente in colpa perché piuttosto che gioire di ciò che mi offri agli occhi, alle mani e al cuore io me la prendo con me stesso per non sentirmi più all’altezza. Ma all’altezza di cosa? Di quello spazio che c’è tra i tuoi occhi e sopra il naso? Lì in quel punto perfetto per timbrare baci da far passare al controllore della stazione dove non ci fermiamo mai. Aspetta, forse mi sbaglio, noi siamo stai fermati ad una stazione. E’ la stazione dell’insostenibile pesantezza dei treni che passano, delle nuvole rapide, degli sguardi ghiacciati sulle pozzanghere gelate, sulla pioggia che ci rende tristi anche d’estate, su quei libri dove posiamo gli occhi per leggere ma mai le mani per tenerle salde insieme. Tu ti difendi costantemente, tu sei salda io no. Io voglio tutto e subito tu no, a te non importa altro, tu sei magnifica perché non vuoi nient’altro che io ci sia soltanto altrimenti nessun addio. Nessun addio mai. Un addio per sempre sarebbe disumano. Allora lasciami per un attimo riposare su quelle ginocchia meravigliose (hai notato come le guardavo?). Perché amo le tue ginocchia che non tremano mai a differenza delle mie mani che invece così bramose di desiderio ti cercano sempre, ovunque, come bacchette di un rabdomante. Un rabdo… amante. E ti chiedo, come puoi non amarmi? Tu rispondi che è solo la mia sensibilità che ti ama. Dovrò annullare la sensibilità che ti tocca e ti sfiora come i miei polpastrelli ogni volta che ti penso. Ti penso all’infinito. All’infinito remoto ma soprattutto a quello passato. E’ difficile essere presenti vero? Dove sono finite le stelle che ci legano come corde strette al creato?
PS. Come fai a non cedere alle cose che scrivo?
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