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La cura Schopenhauer

  • Immagine del redattore: Andrea Trofino
    Andrea Trofino
  • 31 ott 2013
  • Tempo di lettura: 2 min

“Significa sottrarsi completamente al volere. Significa accettare totalmente che la nostra natura più intima è uno sforzo implacabile, che questa sofferenza è programmata dentro di noi fin dall’inizio e che noi siamo condannati dalla nostra stessa natura. Significa che dobbiamo prima comprendere l’essenziale non essere di questo mondo di illusione e poi accingerci a trovare una strada per negare la volontà. Dobbiamo tendere, come tutti i grandi artisti devono, a dimorare nel mondo puro delle idee platoniche. Alcuni lo fanno tramite l’arte, altri tramite l’ascetismo religioso. Schopenhauer lo fece evitando il mondo del desiderio, con la comunione con le grandi menti della storia e la contemplazione estetica; suonava il flauto per una o due ore al giorno. Significa che uno deve diventare osservatore oltre che attore. Uno deve riconoscere la forza vitale che esiste in tutta la natura, che si manifesta tramite l’esistenza individuale di ciascuna persona, e che alla fine reclamerà quella forza quando l’individuo non esisterà più in quanto entità fisica.”

“Credo fermamente che gli uomini più felici siano coloro che non cercano nulla più della solitudine. Parlo del divino Schopenhauer, di Nietzsche e di Kant. La loro posizione, e la mia, è che l’uomo con una ricchezza interiore non voglia nulla dall’esterno tranne il dono negativo di uno svago indisturbato che gli permetta di godere della propria ricchezza, ovvero delle proprie facoltà intellettuali.”

«Schopenhauer diceva che una donna molto attraente, come un uomo molto intelligente, è assolutamente destinata a vivere una vita isolata. Sottolineava come gli altri siano resi ciechi dall’invidia e se la prendano con la persona superiore. Per quel motivo, gente del genere non ha mai amici intimi dello stesso sesso».

«Nietzsche», intervenne Philip, «una volta ha detto qualcosa sul fatto che, quando ci svegliamo scoraggiati nel mezzo della notte, i nemici che avevamo sconfitto molto tempo prima tornano ad assillarci».

“Kierkegaard ha descritto alcuni individui come esseri in preda a una “doppia disperazione”, ovvero essi sono immersi nella disperazione ma sono troppo illusi per sapere persino di essere immersi nella disperazione.”

 
 
 

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