L’Elfa Vania della Terra
- Andrea Trofino
- 5 giu 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Dopo la terribile epidemia di fuochi fatui che interessò l’intero continente e che uccise su sette miliardi di esseri umani molti meno di quanto ci si aspettasse probabilmente perché l’uomo di oggi attende sempre il peggio e mai il meglio, mi risvegliai vivo nel mio amato Regno per scoprire che tutto era stato un sogno e una chimera del Diavolo creata da paggi, avventurieri, finti sapienti e altrettanto finti saggi della mia Corte che per mesi mi costrinsero a stare chiuso tra le mura delle mia stanza pur di evitare la peste che assiduamente dicevano s’aggirasse ovunque in tutti i punti dell’universo conosciuti e in ogni elemento dell’etere a partire dall’aria trasportata dai venti e dai rifiuti organici di noi esseri umani ignari di portare il diavolo in corpo. Il riposo fu lungo e ristoratore e finalmente potei tornare di nuovo a respirare e a godere degli ampi spazi del mio regno quando in una mattina che assieme al resto della corte ci concedemmo una battuta di caccia nella foresta adiacente al castello mi trovai di fronte una delle più belle creature che avessi mai visto in tutta la mia vita di avventuriero e amante. Apparve dinanzi a me, a fianco ad una betulla in fiore, sotto il sole tiepido e umido di marzo un’elfa biondissima ma senza ali che a piedi nudi camminava per la terra umidiccia, inzuppandovi i piedi come se vi trovasse ristoro. Aveva degli occhi enormi e blu come il mare, lo stesso mare che avevo conosciuto gustandone le gioie in una lontana tenuta sulle coste della Sardegna, quando al mattino potevo godere di un orizzonte che si espande immenso in ogni direzione. Aveva il mondo nei suoi occhi e lo rifletteva tutto addosso a me creandomi non poco imbarazzo e stupore. – “Vania”. – disse. – “Sono Vania e vana come l’aria, ho curato e dissolto la peste che vi si insinuava e adesso faccio un po’ di pulizia a terra con i piedi nudi, perché io stessa sono figlia della melma, ho dissolto la minaccia del respiro tra bacio e bacio, tocco e tocco, cuore e cuore eppure sono diventata vana come il mio nome.” Dice di essere vana poiché seppur dalle sembianze assai attraenti non è stata conosciuta ancora da nessuno se non da me. La cura è soltanto una vana Vania, sconosciuta, puramente portata dal caso, nessun miracolo. E’ però scomparsa ahimé in un battibaleno mentre una volpe saltava il sentiero da un lato all’altro e quella notte non riuscii a chiudere nessun occhio perché rimasero come sbarrati a pensare agli occhi di un vano caso che mi portò a incontrare una vana Vania che per vano destino fu la vana cura di una peste ormai svanita. Capii di aver bisogno di ritrovarla. Non posso sopportare che qualcosa di così prezioso, ma vano, resti vana come Vania. Non posso dimenticare le sue labbra e le sua voce. Devo assolutamente trovarla poiché potrà essere la soluzione al Mostro di Collapepita. Forse, pensai, lei può aiutarmi, può aiutarmi a non estinguermi. Invano, aprii la porta e uscii dalla camera al mattino presto quando si ha l’oro in bocca ma non la mano in un’altra mano.
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