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Emily Bronte

  • Immagine del redattore: Andrea Trofino
    Andrea Trofino
  • 1 gen 2009
  • Tempo di lettura: 1 min

Io sono l’unica il cui destino lingua non indaga, occhio non piange; non ho mai causato un cupo pensiero, né un sorriso di gioia, da quando sono nata.

Tra piaceri segreti e lacrime segrete, questa mutevole vita mi è sfuggita, dopo diciott’anni ancora così solitaria come nel giorno della mia nascita.

E vi furono tempi che non posso nascondere, tempi in cui tutto ciò era terribile, quando la mia triste anima perse il suo orgoglio e desiderò qualcuno che l’amasse.

Ma ciò apparteneva ai primi ardori di sentimenti poi repressi dal dolore; e sono morti da così lungo tempo che stento a credere siano mai esistiti.

Prima si dissolse la speranza giovanile, poi svanì l’arcobaleno della fantasia; infine l’esperienza mi insegnò che mai crebbe in un cuore mortale la verità.

Era già amaro pensare che l’umanità fosse insincera, sterile, servile; ma peggio fu fidarmi della mia mente e trovarvi la stessa corruzione.


 
 
 

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