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Appunti del 23 luglio 2016

  • Immagine del redattore: Andrea Trofino
    Andrea Trofino
  • 23 lug 2016
  • Tempo di lettura: 1 min

L’ho vista dentro di lui prigioniera.

Come mai scrivo qui? Non voglio più scrivere qui, voglio strappare prima il foglio e poi il quaderno. Solo per dire com’era lei dentro di lui, così reale che quasi si poteva toccarla. Forse, per un attimo, ha avuto il suo stesso sorriso. O era il modo in cui la luce gli cadeva sul volto.

Come è diventato difficile parlarti. Mi ricordo quando mi sei stata vicina e ti toccavi nervosamente i capelli, in quel momento rabbrividivo perché quei capelli volevo toccarli io.

Voglio baciarti in quel punto dove si inarca la schiena. Il tuo corpo è un’arca ed io voglio farci dapprima entrare tutte le mie dita. Voglio entrare nel tuo mare profondo facendomi strada con le braccia accogliendoti forte verso me come se tu fossi un’onda. Tu sei una porta dove voglio entrare senza bussare, la mia chiave della serratura è dura e rigida, vuole aprirti prima spingendo piano, apri quella porta non resisto, non lasciarmi fuori, ho bisogno di sentire l’interno della tua stanza calda che mi avvolge.

La mia voce di burro ti è scivolata dentro, ciò che ti ho raccontato è la storia rubata ad un altro per stordirti e dilaniarti. La mia voce è come il mare, profonda, tu ne hai colto le onde ma non le hai sapute cavalcare, non le hai mai cavalcate per paura di scivolare sulla mia lingua. Sono poche le parole importanti e soprattutto è importante il modo in cui si dicono, ipnotizzarti ad esempio con ironia e sensibilità.

 
 
 

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