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A lungo andare

  • Immagine del redattore: Andrea Trofino
    Andrea Trofino
  • 24 set 2012
  • Tempo di lettura: 2 min

A lungo andare non è come vorrei che fosse, preferisco infatti a lungo venire ma tu non ci sei più. Ormai devo rassegnarmi (scrivendomelo su un foglio o meglio sulla fronte, metterlo a segno, colpirlo, decodificarlo) alla tua perenne assenza.  Sei perita, ma non elettronica, sei perita e basta, perlomeno all’interno delle mie anticamere ardenti del cuore, un cuore pieno di buche, strascichi, ferite superficiali che scivolano su quelle più profonde. Ho imparato a scivolare sulla superficie delle cose e non si tratta di quando trovo il pavimento bagnato perché appena lavato. Scivolo sulla realtà come se fosse neve, uno specchio, una slitta che mi riporti in cima, al sogno di quando ero vergine dentro. A lungo andare si viene poco. Col tempo non tutto passa ma anzi tutto continua a venire, a percuotermi, a dissuadermi, a disfarmi di te e delle altre senza sfamarmi, rimango astinente, senza più il cibo dell’anima, altre anime cotte, manicotti dell’amore piuttosto che maniglie. Anime gemelle che non hanno mai incontrato il loro vero fratello che a volte si trasforma, o meglio, potremmo parlare di “tras-forno “per le cotte e le crude” che questa emozione ci fa passare, perché è tutto un tavolo imbandito da cui cadono le posate, un tavolo cieco perché più che imbandito è imbendato, un tavolo traballante come le mie gambe quando si accorgono di essere sole con il resto del mio corpo e quindi di sentirsi arti inferiori. A lungo andare è meglio risalire sulle onde cercando di camminare sul mare, puntare le sirene, e cercare un altro lungo venire. Buon viaggio amore, da quando sei partito sei anche dipartito. Noi, incontri su una vena d’oro di una miniera di cristalli rotti, ce ne sbattiamo finalmente le… mani. Per applaudire con più garbo.

 
 
 

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