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40 gradi di separazione

  • Immagine del redattore: Andrea Trofino
    Andrea Trofino
  • 25 ago 2011
  • Tempo di lettura: 1 min

Il soffitto è ingiallito come se all’interno di questa stanza vi avessero acceso un fuoco. In realtà è stato il fumo di sigaretta che mi ha ridotto in cenere e così come cenere cosparsa sul mio letto, appena sveglio, osservo il soffitto. Il lampadario una volta era azzurro, adesso è di un colore orribile, una via di mezzo tra il giallo e il marrone. Le pareti sembrano quelle bruciate da un fuoco e nulla è veramente vivo qui dentro neanche quel pezzo di carne disteso sul letto che osserva con occhi ingialliti ciò che lo circonda. E’ tutto inutile. La vita scorre ed è tutto inutile. La gente si affanna, ma tanto è tutto inutile. Non c’è nulla per cui vale la pena correre, non c’è nessun vero perché al quale rispondere, nessuna giusta domanda, nessuna giusta risposta. Nulla ha un valore per cui valga la pena. La pena di vivere.

Il corpo è rannicchiato, gli occhi umidi e stanchi. La stanza che lo circonda rappresenta la sua vita: bruciata. E’ la stanza dove è nato. Adesso non è altro che la stanza dove sta morendo, l’urna funeraria con le sue ceneri, un fuoco spento, bruciato inutilmente per circa quarant’anni. La sua stessa bara, la camera funeraria.

Il fumo condensato sulle pareti e i quaranta gradi di sole lo separano dal resto del mondo bruciando sull’asfalto della strada vicina.

Nessuno si è mai accorto della sua scomparsa.

 
 
 

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